Partendo da una campagna pubblicitaria tanto discussa, arriviamo a parlare dell’importanza del tempo (da dedicare a strategia, analisi e conoscenza) nella relazione tra cliente e agenzia
Tema di attualità in questi giorni è la nuova campagna #Opentomeraviglia commissionata dal Ministero del Turismo a una delle più note e prestigiose agenzia di comunicazione nazionale e le critiche che ne sono seguite. Dagli aspetti creativi si passa subito agli errori tecnici commessi: si tratta, pare, di una versione non definitiva sfuggita per sbaglio. Poi, una lettera ufficiale di risposta da parte dell’agenzia che ribadisce con tono ironico il grande successo della campagna all’insegna del ‘purché se ne parli’ e con una serie di scuse non richieste. Il tono è supponente con argomentazioni dallo stile vetusto e nel complesso fastidioso. Quindi, anche nel campo delle PR e della gestione di crisi sembra che l’agenzia non stia dando il meglio di sé: ci facciamo caso perché la gestione di relazioni media e ufficio stampa è storicamente il nostro core business. Ci sono tantissimi commenti a riguardo in giro per la rete anche molto interessanti ed equilibrati come quelli che si possono leggere nella conversazione avviata da Daniele Chieffi o il bell’articolo di Annamaria Testa sul suo sito Nuovo e Utile.
Il punto è che le critiche e i commenti arrivano più che altro dalla ‘comunità di addetti ai lavori’. Magari non di pari prestigio, ma insomma, da gente che di comunicazione ne capisce. Professionisti che non hanno messo tanto in discussione il concept della campagna che avrà sicuramente solide ricerche alle spalle dal momento che deve rivolgersi a target di oltre 30 Paesi, bensì gli errori grossolani e operativi commessi dal team di agenzia: i classici errori di un progetto che sembra più abborracciato e ‘buttato giù in qualche modo’ che studiato e ispirato da stuoli di creativi.
Tralasciando gli aspetti creativi, lo spunto per un piccolo spostamento di punto di vista affiora spontaneo. Non sarà che alla fine anche l’agenzia più blasonata rischia il flop se il committente non mette in campo competenze adeguate, o se la fretta vince? Non sappiamo nulla di come siano andate realmente le cose, ovviamente, e non possiamo certo sputare sentenze, ma ecco: siamo sicuri che sia davvero tutta colpa dell’agenzia o che non si tratti di un sano concorso di colpa che include anche chi il progetto lo dovrebbe valutare, controllare, gestire, firmare? Ovviamente l’idea del ‘mal comune mezzo gaudio’ non è affatto consolatoria, anzi.
Serve tempo per andare più veloci
Rallentare non significa restare indietro, ma attuare una trasformazione nel tempo. Più che una percezione fisica implica un’azione mentale (David Philips, PR expert)
Mancate registrazioni di domini, traduzioni sommarie, immagini e clip provvisorie: viene davvero il dubbio che si tratti di sopraffina disorganizzazione, ciò che impedisce a monte di mantenere salde le redini. Nella grande realtà come nella piccola.
In una società che corre sempre più veloce e in cui, anche nel mondo della comunicazione, soluzioni rapide e ‘automatiche’ sembrano sempre più a portata di mano, in tante realtà d’agenzia, il tempo ‘umano’, ovvero quello che occorre al cliente e all’agenzia per organizzare incontri di briefing ben fatti e sensati, con gli interlocutori e i responsabili corretti è il grande assente, così come il tempo per organizzare un project management adeguato lato cliente e la designazione di decisori competenti, supervisione tecnica, coordinamento e, al vertice, qualcuno che sappia e possa dire ‘no’, se il lavoro non è soddisfacente. Su questo è davvero vitale mantenere il punto. Per organizzare e analizzare serve tempo. E per fare un buon lavoro, o anche solo decente, organizzare e analizzare serve.
E nelle realtà di minori dimensioni o meno strutturate, dove competenze avanzate non sono talvolta presenti, almeno gli obiettivi, quando ci si rivolge ad un’agenzia, devono essere comunicati chiaramente dal cliente e restare nel mirino in tutte le fasi del lavoro. Il rischio, altrimenti, è di perdersi nei rivoli di mille dettagli davvero di poco conto nel quadro generale d’insieme. Confusione. E quindi l’errore ci scappa. Certo, sarà compito del buon consulente o professionista aiutare a mantenere la rotta, ma un atteggiamento solido in partenza da entrambe le parti è una premessa fondamentale.
Poi, a lavori iniziati, più tempo per incontri regolari che consentano all’agenzia o ai professionisti di entrare davvero in contatto con l’azienda e conoscerne il contesto, l’organizzazione, le dinamiche, anche i problemi e le incertezze; meno micromanagement. Anche la definizione dei ruoli fa parte di questo prezioso tempo che occorre impiegare per chiarire chi-fa-cosa nella relazione azienda-agenzia e soprattutto chi-approva-e-quando senza demandare il tutto a una ventina di contatti messi in copia nelle e-mail. In assenza, non sorprenderebbe quindi che un’intera campagna ‘in bozza’ possa così andarsene a spasso da sola nella rete senza neppure il permesso dei genitori.
Crisis management e slow boss
In caso poi ci si accorga che qualcosa è andato storto, un cortese e semplice messaggio di scuse e ringraziamento a chi aiuterà a migliorare questa benedetta campagna ben studiato, non buttato fuori di pancia (imperdonabile). Anche il boss deve fermarsi a pensare (ne parlano Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano in un interessante articolo uscito sul Sole 24 ore, qui il Tweet) Il tutto andrà poi condito da un tocco leggero e ironico, ma sicuramente non spocchioso. Altrimenti finisce che il tocco leggero ce lo mettono altri e probabilmente senza allontanarsi troppo dalla realtà …(a proposito: questo ci ha fatto sorridere)
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